Zio May che ci ricorda la vita mentre moriamo

Ancora vita, ancora vivere, rimanere ancora aggrappati ai brandelli della nostra anima vitale, ancora “pneuma” (soffio vitale), ancora noi vivi, ancora l’ uomo con il cuore in mano, che pulsa.Con tutte queste perifrasi, giochi di parole, sottintesi espliciti ed impliciti atti poetici, romantiche vertigini linguistiche, periodi Beat o guizzi jazz si può tradurre, o  ciceronianamente “vertere” l’ essenziale titolo dell ‘ ultima fatica (la seconda per la precisione) di Uberto Pasolini: Still Life.Ancora Vita.C’ è ancora vita, vita da dare, vita andata (la morte), vita che non vuol tornare (i parenti dei morti), vita senza viva memoria (i parenti che non vogliono ricordare i propri morti) ma ancora si tratta di vita.John May addetto comunale, della periferia londinese, si occupa di ciò: cercare i parenti, le memorie, i ricordi, i frammenti disseminati dai defunti e riportarli a loro.Lavora scrupolosamente, attento alle minuzie,visitando le case dei defunti (momenti tra i più malinconici e profondi del film), cercando, indagando, affezionandosi, lottando…un “folletto” basso, quotidiano, discreto che scruta attraverso la morte per trovare la vita.

Ecco qua riassunta l’ essenza di Still Life: che come Eraclito cerca la verità sulla morte, soltanto che lo fa tramite l ‘ arte dell’ emozione, non con la virtù della ragione.John May è il folletto delle favole, l’ uomo buono, l’ uomo giusto ma che come nelle faide e nelle favole moderne (ma neanche tanto) nasconde qualcosa, qualcosa di piccolo, di invisibile, sottile (non ci viene detto ma fatto intendere), un piccolo dramma.Come nella realtà si trova sottomesso al peso della quotidianità, dell’ abitudine.Come nella vita di tutti gli uomini  si trova esposto alle intemperie delle emozioni, dei sentimenti, dell’ Amore.E quando arrivano sono tempeste.Come ogni uomo si trova al bivio della sorpresa, della scoperta.Tuttavia  non è come nessun uomo : freddo, glaciale, metodico (da sembrare geometrico), problematico, sottratto, quasi timido.Un personaggio.Un personaggio che ci ricorda l’ equazione pasoliniana (di Uberto) del film: morte=vita, vita che ci ricorda la morte.

Poiché è possibile trovare la morte nella vita, entrare in contatto con i defunti, le loro case, i loro ricordi…ma allo stesso tempo i morti ci riportano la memoria a quello che è stato: alla vita.Alla vita che gli stringeva una volta a terra, alla vita di cui non erano privi i  loro ricordi, alla vita che abitava le loro case.Pasolini, sembra perciò, dirci che non c’ è vita senza morte (ricordando la matrice eraclitea), o meglio senza il “ricordo”.Perchè la memoria sembra infine il fine ultimo del lavoro di John May, il lavoro di Pasolini che immortala per ricordare, ed infine il fine ultimo del nostro vivere quotidiano: ricordare per poter continuare a vivere.

Dunque le tombe dell’ inizio, l’ insensibilità dei più piacioni e piacenti colleghi di May,le ceneri dei defunti, i prati, gli sguardi, le foto, i dialoghi, l’ essenza viva dei personaggi di Still Life testimoniano, danno memoria per dare memoria perché ricordare (anche chi muore, anche la morte) è una delle poche cose che hanno ancora senso.E il finale felliniano ce lo rammenta ancora una volta, per l’ ultima volta…

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